Protetto: Sessualità
Protetto: Perdono
Protetto: Aggressività
Protetto: chakra
Protetto: Metamodello
Il limone per problemi di acidità
Consigli per risolvere problemi di acidità, reflusso gastrico, ecc…:
-> Bere ogni mattina per prima cosa 1 bicchiere di acqua naturale col succo di 1/2 o 1 Limone (a seconda della grandezza) ma è importantissimo non mangiare o bere nient’altro per almeno mezz’ora dopo l’assunzione.
-> Bere ogni sera dopo l’ultimo pasto 1 bicchiere di acqua naturale con 1 cucchiaino da tè raso di Bicarbonato di Sodio.
ATTENZIONE:
Il trucco sta nel prenderlo la mattina a digiuno e non mangiare e bere nient’altro che acqua naturale per almeno mezzora: in questo modo, ma solo così, l’acidità del limone ha un effetto alcalinizzante (anti-acido) nel corpo. Per questo fa bene anche a chi soffre di acidità di stomaco e reflusso…
Ma se mangi o bevi qualcosa prima che siano passati almeno 30 minuti, allora sì che diventa acidissimo!
Per quanto riguarda i denti, pochi sanno che per evitare che i cibi acidi appena mangiati intacchino lo smalto bisognerebbe pulire i denti solo 20 minuti dopo aver mangiato per lasciare il tempo alla nostra saliva di neutralizzare le sostanze acide residue nella bocca.
A tu per tu con la paura
(Krishnananda)
(sintesi Riepilogo generale)
Questo libro è stato scritto sulla base sia della sua personalissima esperienza di vita, sia sulla base della sua esperienza di conduttore di gruppi di crescita, come discepolo di un maestro spirituale, Osho. Entrambi questi due aspetti si ritrovano nel libro, che diventa così uno strumento, una guida, attraverso la quale intraprendere un percorso di conoscenza profonda e di consapevolezza di noi stessi. In particolare, questo testo si concentra su un metodo di esplorazione interiore, sviluppato dall’autore stesso, che, attraverso le relazioni, permette di intraprendere il viaggio che dalla co- dipendenza porta alla vera libertà.
La maggior parte delle persone infatti, soprattutto del mondo occidentale, hanno, per i più svariati motivi, uno stile di vita basato sul consumo, sulla velocità, sul negare a se stessi la possibilità di avere paura. Il bambino interiore che è dentro ognuno di noi, si trova ad affrontare un mondo in cui c’è spazio soltanto se si è bravi, o se ci si fa sentire urlando, o ancora in altri modi che ci permettano di destare le attenzioni degli altri. Ma ciò che scaturisce da tutto questo, è un fortissimo bisogno di compensare un amore che arriva soltanto a condizione; “ti amo, se”.
Dalla ricerca di soddisfare sempre queste condizioni per ricevere amore, o meglio, un surrogato di amore, cresciamo con la paura di non poter ricevere abbastanza amore, o di perdere quello che riceviamo. Il nostro bambino interiore, anche quando diventiamo adulti, è quindi un bambino costantemente in panni
L’attenta osservazione delle relazioni che viviamo, ci permette di prendere consapevolezza della nostra vulnerabilità, di questo bambino interiore spaventato, di quali siano le sue paure e di come cerchi di compensarle e non sentirle, attraverso relazioni che creano dipendenza; sia la dipendenza che l’anti-dipendenza infatti, sono due facce della stessa medaglia, il cui punto di base è comunque il non sapersi prendere cura di noi stessi, della nostra vulnerabilità, ma supplire a questa mancanza di amore verso se stessi attraverso relazioni di dipendenza con gli altri.
Per liberarsi dalla co-dipendenza, Krishnananda traccia un percorso che nasce dalla conoscenza della propria vulnerabilità, delle proprie ferite. Andare a conoscere da vicino la paura, diventa allora non un modo per stare ancora più male, ma al contrario il primo passo per “guarire” quella mancanza di amore che ci accompagna; stare a contatto con la paura è il primo passo per non esserne più dominati, come invece ci succede in quasi tutti gli aspetti della vita.
Conoscendo la vergogna e lo shock che sono i due elementi fondamentali della paura, possiamo imparare a vivere la vita in maniera più piena, totale, “giocando sempre sul filo delle nostre paure, correndo il rischio di avere l’insicurezza e l’incertezza come compagne, e andare sempre più in profondità nella meditazione, come una medicina per tutto ciò che ci affanna”.Il rischio e la meditazione sono i due strumenti principali che l’autore individua ed utilizza, sia personalmente, per confrontarsi con le sue paure, sia nel lavoro di conduttore di gruppi, perché permettono di creare quello spazio interiore necessario a guardarsi dentro, senza giudizio, in ascolto e a contatto con le ferite che ci sono, e che, se accolte e riconosciute, permettono di dischiudere realmente il cuore all’amore, a quello vero, anziché ai surrogati di amore.
Quando andiamo in profondità dentro di noi, ad affrontare la paura ed il dolore, finalmente ritroviamo noi stessi, ed è a questo punto che possiamo ricostruire la nostra fiducia nella vita e lasciarci andare all’amore; osservare, sentire, lasciare che accada.
Gli esercizi raccolti nel libro aiutano a prendere contatto gradualmente con le nostre ferite, rispettando la paura che vi è alla base, accogliendo quel disperato bisogno di amore che ha mosso il nostro bambino interiore fino a dove siamo oggi.
Descrizione
E` un viaggio all’interno dell’essere umano, alla scoperta delle sue paure, delle sue difficoltà, delle ferite sepolte che agiscono fattivamente sul presente con tutte le inevitabili conseguenze. Privilegiare la pratica meditativa lo avvicina ad un noto concetto espresso dal suo maestro: “il centro della tua vita, il tuo essere, è la tua connessione con il cosmo. Da questa porta puoi entrare nel cosmo e diventare tutt’uno con l’esistenza. Ma anche quando sei nel centro del tuo essere…troverai grande splendore e mistero. Questo stato viene chiamato il buddha, il risvegliato. In questo momento tutti voi siete dei buddha. Potete anche dimenticarlo, ma non importa. Prima o poi ve ne ricorderete di nuovo.”
Il viaggio culturale e spirituale intrapreso da Krishnananda è il ritorno al nucleo interiore (nucleo di meditazione dell’essere). La vita dell’uomo viene vissuta sulla superficie, chiamata “strato protettivo”, luogo di riparo, sicuro, ma sterile e inutile. Per Trobe, la maggior parte delle persone vive questa condizione. Inseguendo pseudo sicurezze che non fanno altro che allontanare sempre più dal proprio essere. Il “nucleo della meditazione” è uno spazio in cui il tempo cessa di esistere, la mente smette di agire, di pianificare, di preoccuparsi. È l’assenza, il silenzio “osservatore”.
Chi raggiunge questo stato osserva lo scorrere della vita senza sentirsi costretto all’azione. Trobe scrive: “In qualche modo, il nostro bambino interiore ha provato l’esperienza di essere abbandonato, fisicamente o emozionalmente. Il dolore era così opprimente che l’abbiamo sepolto nel nostro inconscio. Tutti i nostri meccanismi di sopravvivenza sono stati un tentativo di riprendersi da questa aggressione. Tuttavia la guarigione non può avvenire finché non riportiamo a livello cosciente queste antiche esperienze. In qualche modo dobbiamo riaprire la ferita.
E ciò avviene principalmente nelle nostre relazioni intime”.In questo percorso che unisce la psicanalisi occidentale alla meditazione orientale, “la paura” è un sentimento che l’uomo prova dalla nascita, un senso dell’abbandono che lo pervade sin dal taglio del cordone ombelicale. Con il crescere, le nostre paure aumentano, si infittiscono, ci annebbiano la mente e molto spesso sono la causa di tutti i nostri problemi. Paura dell’insuccesso, del fallimento, di essere abbandonati, paura delle aspettative, paura del rifiuto, paura di essere abusati.
La nostra vita è un continuo fuggire da queste paure, facendo finta che non esistano o adottando delle strategie (soprattutto inconsce) per metterle a tacere. Ma la paura si riaffaccerà prima o poi fintanto non saremo in grado di affrontarla. Le relazioni tra gli esseri umani falliscono principalmente per questi motivi, le nostre paure vengono scaricate sull’altro, proiettiamo sul partner ciò che ci affligge, affinché possa liberarci di questi grandi pesi. In realtà sono solo delle strategie che adottiamo per superare il senso di fallimento vissuto, e il sollievo sarà di breve durata, fintanto che una relazione termini e se ne intraprenda un’altra ove riattivare lo stesso identico circuito.
Chi vive sullo “strato esteriore” non farà altro che girare su se stesso, scappando continuamente dalle proprie paure, attraverso strategie o attraverso la co- dipendenza nei confronti di un’altra persona, ma mai risolvendo il problema. L’autore crede che le paure vadano affrontate, lasciandole agire, lasciandole crescere e sviluppare per poi osservarle
Quando si diviene osservatori, nulla può ferirci. Trobe cita Osho: “Andare dentro di sé è andare verso Dio. Andare dentro di sé è tutto il segreto della trasformazione alchemica dell’essere. Piuttosto che correre via, correte dentro di voi. Andate dentro per dare un’occhiata più da vicino.
La meditazione è il ponte che va da dove tu sei a dove dovresti essere. E la meditazione è una cosa così semplice che persino un bambino può godersela. Solo tu puoi affermare il tuo splendore e la tua gloria. Perché gli altri non ti conoscono e continuano a condannarti. Solo tu puoi affermare definitivamente la tua illuminazione”. La meditazione come passaggio obbligato verso il nucleo centrale interiore, dove vive il nostro vero Io.
Senza questa fase le paure non possono essere affrontate e superate, la vita non può essere veramente vissuta.
“Paura significa una cosa soltanto, abbandonare il conosciuto ed entrare nello sconosciuto.
Il coraggio è l’esatto opposto della paura” – Osho
Sii sempre pronto ad abbandonare il conosciuto – desideroso di abbandonarlo – senza neppure aspettare che sia giunto a maturazione. Salta semplicemente in qualcosa di nuovo… la sua stessa novità, la sua stessa freschezza è cosi attraente. Allora c’è coraggio…
Quello che conta è la tua scelta, la tua scelta di imparare, la tua scelta di provare un’esperienza, la tua scelta di entrare nell’oscurità. Il coraggio ti verrà. Basta cominciare con una formula semplice: non lasciarti mai sfuggire l’ignoto. Sceglilo sempre e tuffatici a capofitto. Anche se soffri, ne vale la pena – ripaga sempre. Ne esci sempre più adulto, più maturo, più intelligente. – Osho
La co-dipendenza è la tendenza a occuparsi di qualcun altro al punto di trascurare se stessi. In sintesi, significa ricercare felicità e realizzazione, che si pensa di non potersi dare da soli, attraverso la manipolazione degli altri. La persona co-dipendente concentra le proprie attenzioni su fattori esterni per alleviare l’ansia e le sensazioni dolorose interiori.
Cerca di rendere felice chi le sta attorno e, quando non ci riesce, si sente sminuita e vive la cosa come un fallimento personale. Generalmente sono persone che nascondono le proprie emozioni, per poi esplodere in momenti inopportuni. Oppure sono persone che tendono a reagire in modo esagerato, manifestando, ad esempio, panico e angoscia invece della normale paura o ansia.
Queste persone vivono nella falsa convinzione di poter annullare i sentimenti negativi che provano semplicemente “dando di più”, oppure ottenendo l’approvazione di coloro che svolgono un ruolo significativo nella loro vita. In tal modo attribuiscono agli altri la responsabilità della loro felicità.
Spesso le persone co-dipendenti appaiono gentili e disponibili, ma tendono a controllare e manipolare chi le circonda, per avere l’approvazione che ritengono necessaria a star bene, oppure ignorano le proprie emozioni di paura, dolore, rabbia, vergogna.